Eccoci di nuovo qua, al Luna Park del Giornalista Musicale (il copyright è di Daniela Cardini, 2011). Settimana in riviera, al Festival a raccontare storie e intervistare gente per Rockol. Quest’anno c’è il sole, c’è il cuore e l’ammmore.
Condizioni meteorologiche invidiabili, canzoni romantiche e una pacifica aria da volemose bene. Tutto molto tranquillo, non c’è nessuna polemica. Tutti danno per vincenti certi Il Volo (“Chi arriva secondo?”, ci si chiedeva ieri alla fine delle prove) (ma chi entra Papa…).
Noi giornalisti ci lamentiamo comunque di qualsiasi cosa, dal semplice essere qua (“Quand’è che abbiamo finito, che devo andare ad occuparmi di cose serie?”, ho sentito dire ad una collega), alla qualsiasi (le canzoni, i cantanti, il regolamento, gli ospiti etc.). Ma con poca convinzione, quest’anno: anche l’assenza del buffet in sala stampa non ha suscitato sollevazioni popolari, mi pare. E dire che vige una regola, nella stampa italiana: mai toccare il buffet ai giornalisti.
Chi non è a Sanremo (e vorrebbe esserci) si lamenta dei giornalisti che si lamentano. E noi giornalisti ci lamentiamo di chi si lamenta dei giornalisti che si lamentano. E così via, quasi da far sembrare il tutto un quadro di Escher o la trama di Inception.
Dicono che è il Festival senza perturbazioni (frase del direttore Giancarlo Leone, direttore di RaiUno, ieri in conferenza stampa, riportata oggi da tutti i quotidiani). Per me è il festival senza Perturbazione, nel senso della band. Vi ricordate “L’unica”?. Ecco, non c’è nulla del genere.
Le canzoni sono molto pop, molto sole-cuore-amore appunto, con alcune belle punte (mi piacciono Malika, Chiara, Raf – almeno quando le ho sentite – in TV saranno un’altra cosa) e molta medietà e un po’ di mediocrità. Non c’è nulla come “L’unica”, però. Manca completamente la “quota ex-indie-rock”, e questo non è necessariamente un male. A Sanremo non puoi sperare di trovare i nuovi Verdena . Per quelli, presumibilmente, ci sono (o ci dovrebbero essere) altri spazi. Ma quest’anno manca sicuramente quel pop un po’ diverso e non banale, quello che poi rimane, l’anno scorso perfettamente rappresentato dai Perturbazione.
Vedrete, Pertubazione e perturbazioni a parte, andrà a finire che l’anno scorso ci lamentavamo che il Sanremo di Fazio era troppo “alto”, e quest’anno ci lamenteremo che questo è troppo pop-popolare.
Sia chiaro, io mi diverto, a Sanremo, alto o basso che sia e lo aspetto quasi come il Natale. Ma potevo esimermi dalla mia lamentela? No, sono un giornalista, in fondo.
Comunque, ecco i miei momenti preferiti, finora:
- Alex Britti che mi accoglie suonando il blues con la chitarra, in camerino.
- Mauro Coruzzi che, durante l’intervista, vede passare Caterina Caselli, le corre dietro, torna e si mette a cantare una canzone.
- Biggio e Mandelli che perculano il mio articolo (in cui ho definito la loro canzone una “novelty song“
- Una coppia seduta in riva al mare, con loro cane vecchietto di fianco. Pochi secondi dopo che ho scattato questa foto si sbaciucchiavano come ragazzini (sono un romanticone, in fondo, e mi mancano i miei cani). Mi ha ricordato quella stupenda canzone di Paul Simon, “Rene and Georgette Magritte with their dog after the war”.
- Alcune frasi rubate ieri sera cena con i mitomani di turno al tavolo di fianco al ristorante. Tutti dotati di pass, quindi presumibilmente addetti ai lavori:
- “Cosè un calamburg?” (Un gioco di parole tipico di una città tedesca, ho pensato io).
- “Avevo i manifesti con il mio nome e cognome, eh”
- “Ti ricordi quando c’era Craxi?”
- “Cos’è che gli hai detto a Platinette?” (e qua taccio su come si è evoluta la conversazione, perché certe cose non voglio riportarle neanche per ridere)
Stasera si fa sul serio, e sarà lunghissima: solo 10 canzoni, un sacco di Spetttacolo e Albano e Romina.
E siete indecisi se vederlo o meno, leggete questo articolo di Jovanotti, di due anni fa: Sanremo spiegato bene, come direbbero quelli de Il Post.
Buon Festival a tutti.