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Usare una canzone degli Snow Patrol su Grey’s Anatomy – una roba banale, forse. Sicuramente un po’ consolatoria, visto quanto la band e la serie devono a quella famosa scena con “Chasing cars”.
Lì stavo per mollare la serie, lo ammetto. Ma aver tenuto duro è stato ripagato dalla tensione e la bellezza di queste due puntate, culminate in un finale di puntata ancora più bello, con “New York” – dal trascurabilissimo “Fallen empires” degli Snow Patrol. Un esempio di come una buona canzone accoppiata ad una bella scena producano un qualcosa che va oltre il valore iniziale degli elementi stessi.
Immaginatevi questa scena – interno giorno, negli uffici della sede italiana di una nota emittente TV internazionale:
– Oh, hai sentito cosa si sono inventati a Grey’s Anatomy?
-Cosa?
– Una puntata tutta musicale!
-Ma scusa, loro non usano già un sacco di canzoni? Non c’è quella music supervisor? come si chiama… Alexandra Patsavas…
-No, questa è una cosa alla Glee: il cast canta le canzoni della serie… Chasing Cars, How To Save Life…
-Si, ma quando lo trasmettiamo noi in Italia, che facciamo? Mettiamo i sottotitoli?
– Ma no, ho già un’idea. Tieniti forte: doppiamo le canzoni! Anzi: le traduciamo, le facciamo cantare da qualcuno. Ho un amico che scrive canzoni, è bravissimo…
Ho troppa stima della Fox Italia, del lavoro enorme che ha fatto nell’importazione nel nostro pasese delle serie TV americane, per pensare che questa scena sia successa davvero. Mi dicono che sia la Disney a curare il doppiaggio italiano di Grey’s Anatomy…
Sia quel che sia, questo è quello che ho pensato vedendo “Una canzone per rinascere”, ovvero 18° puntata della settima serie di Grey’s Anatomy, trasmessa nella versione italiana in questi giorni su SKY. Già l’idea del cosiddetto “Music event” mi convince poco: “Glee’s Anatomy”, l’ha giustamente ribattezzata una persona che ne sa più di me di TV.
Ma l’idea di tradurre e cantare tutto in italiano ha generato uno dei momenti televisivi più trash degli ultimi anni. Al di là dei problemi tecnici: le canzoni ri-cantate erano inevitabilmente fuori sincrono dai labiali degli attori – tranne quando indossavano le mascherine in sala operatoria, ovviamente.
La traduzione delle canzoni, dico. “How to to save a life” diventa “Quando la fiducia non c’è più ti chiedi se hai sbagliato tu” (anzi, la corrispondenza precisa è “Ed io correggerei gli errori miei, ma non so se ci riuscirò”). Perle di saggezza come “Grazie all’amore ho scoperto la felicità” che vincerebbero a mani basse il premio Salame Verderame. Chi ha scritto le canzoni (hanno avuto il pudore o la vergogna di non citarlo nei crediti) ha forzato i testi per legarli alla storia, mentre nella versione originale era la storia che si piegava alle canzoni… Ma chi è che scrive canzoni in questo modo, con questo lessico, con questa metrica? Neanche una band di ragazzini di 12 anni che vogliono imitare qualcuno…
Comunque, giudicate voi…
Ed ora le versioni original (imbarazzanti anche queste, ma almeno sono le canzoni così come sono state scritte)
Si dice che i cantanti non devono fare spot, a differenza di personaggi TV o attori. Si dice che è perché i cantanti devono rimanere “autentici”, e svendersi alla pubblicità distrugge la loro credibilità. Se lo fai ti esponi a critiche per il solo averci provato (come in quel famoso video di Neil Young, che massacrava i colleghi rei di aver prestato nome e immagine a delle bibite).
In realtà il problema non è “se”, ma “come”: lo spot dei Motorhead rappresenta bene la band, la sua musica, la loro canzone più famosa. E si, lega tutto ad un prodotto. Lo spot della Ferrero – cha costruito un impero su pubblicità didascaliche tipo “Mi vuoi tutta ciccia e brufoli” – fa la stessa cosa, ma male: Irene è una bravissima cantante, ma la storia è costruita male, e raccontata peggio, in maniera davvero irreale. Mi chiedo chi abbia scritto quei dialoghi…
Un disco così dovrebbero farlo studiare a quelli di X-Factor e Amici. Questo ho pensato quando ho ascoltato il nuovo lavoro di Stan Ridgway, “Neon mirage”.
I cantanti di X-Factor sono ignoranti musicalmente: in una delle puntate scorse – ho sentito il seguente scambio: “Dovete cantare una canzone di Carole King” “Chi, carotina?”. Sono uno spettatore tutt’altro che snob di questo genere di programmi, ma potete immaginare cosa mi è passato per la testa in quel momento.
Comunque il motivo per cui si dovrebbero studiare questo disco è la dizione perfetta, cristallina di Stan Ridgway, il modo in cui porge le parole, degno dei grandi come Sinatra, o Ella Fitzgerald. Credo che il modo in cui questi due pronunciavano quel “Terrificly” in “I got a kick out of you” sia uno dei punti più alti della musica del 20° secolo.
Poi, certo, c’è gente che sulle parole rese incomprensibili ci ha costruito una carriera (Michael Stipe, anyone?). Però la dizione nelle canzoni è un’arte da riscoprire e studiare.
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"Part lies, part heart, part truth, part garbage"
(R.E.M.)
“Fiction, poetry, music, really deep serious sex, and, in various ways, religion — these are the places (for me) where loneliness is countenanced, stared down, transfigured, treated.”
(David Foster Wallace)